Oltre i disturbi d’ansia – parte 1

Salute Mentale ansia

Oltre i disturbi d’ansia

I sintomi dell’ansia possono accompagnarsi al timore di un attacco di cuore, alla paura di morire o di impazzire.

L’incontro con l’ansia che può assalirci e il panico che arriva ad estraniarci è un tema sempre molto attuale che torna nei diversi anni di lavoro nei territori della cura. Il disagio che ne consegue, la variabilità individuale nella tolleranza e l’interferenza nel quotidiano sono gli aspetti che portano al centro della domanda di cura dei pazienti che si presentano in studio per una consulenza o perché già orientati a intraprendere una psicoterapia.

Tenendo infatti conto delle specifiche differenze individuali e di una buona risposta dei disturbi d’ansia al trattamento psicoterapeutico, i miglioramenti riferiti poco tempo dopo l’avvio dei percorsi sono da ricondursi anche allo sviluppo di tecniche adeguate per affrontarli (tecniche di respirazione, di rilassamento, un’attività fisica mirata…). I sintomi con i quali l’ansia si accompagna sono differenti e non sempre immediatamente riconoscibili.

Premettendo che di fronte a situazioni di stress, di pericolo o a problemi di salute l’attivarsi di uno stato ansioso rappresenta una risposta naturale del nostro organismo, il passo successivo è quello di tutelarci dai suoi effetti negativi laddove questa si presenti, invece, abitualmente, sganciata da elementi che la giustifichino. E diventa anche importante chiedere aiuto quando ci accorgiamo che le nostre attività quotidiane sono fortemente limitate da una condizione di grave apprensione e da un vissuto persistente di malessere.

L’ansia è qualcosa che ci tocca in quanto esseri umani, quando diventa però così eccessiva da impedirci di gestirla i sintomi disturbanti possono manifestarsi in modo tanto intenso da accompagnarsi al timore di un attacco di cuore, alla paura di morire o di impazzire. Prendendo comunque in considerazione diagnosi differenziali per escludere patologie organiche, ci accorgiamo che spesso i dubbi e le domande che le persone portano con sé possono dipendere da esperienze precedenti, da tentativi falliti e cure incomplete.

Sebbene i “sintomi” che si manifestano possano essere di vario tipo ed avere un impatto anche terrificante su chi li vive, è importante sin da subito maturare la consapevolezza che dagli attacchi di panico si può uscire. Tra i sintomi distinguiamo: sintomi “somatici” come le vertigini, la tachicardia, il senso di soffocamento, la nausea, l’affaticabilità e sintomi “di tipo cognitivo” come l’insonnia, la paura di perdere il controllo, un continuo stato di allarme, la confusione.

“Se stiamo attraversando
un periodo difficile della nostra vita
saremo più facilmente
sopraffatti dai nostri pensieri”

da Affrettati piano
di Corrado Pensa e Neva Papachristou

Il caso di L.

Pensando a situazioni specifiche, mi torna in mente, quando L è arrivato in studio, su invio del medico di base. La sua volontà di iniziare un percorso si legava ad un episodio per lui significativo a partire dal quale era ben determinato a voler andare oltre le sue paure: il matrimonio della sua unica e adorata figlia, da celebrarsi in un altro continente. C’era un volo di 12 ore che, in maniera assoluta, L non si sentiva di poter fare.

Siamo partiti da lì, dalla paura di volare, prima di avvicinarci a quegli altri elementi che avevano indotto il medico di base a suggerire una psicoterapia. Avevamo un anno di tempo, ma sono stati sufficienti sei mesi per decidere di affrontare quelle situazioni bloccate nel tempo di fronte alle quali L aveva compreso di poter andare oltre, oltre l’ansia, oltre la paura di volare. Gli attacchi di panico talvolta possono seguire eventi della vita significativi come separazioni, matrimoni, problemi economici, lutti, ecc…

Il caso di Z.

La maggior parte dei pazienti incontrati, nel descrivere il primo attacco, ha portato elementi diversi di contesti stressanti e il più delle volte essi hanno riferito di trovarsi alla guida. Z ad esempio era sulla sua auto, come ogni mattina, pronta a percorrere i 30 km che la separavano dal posto di lavoro quando ha subito il primo attacco. Il suo lavoro, scelto e voluto fortemente, nell’ultimo anno era diventato sempre più pesante. Quella mattina, sul tragitto abituale, un incidente ha creato un ingorgo. Coda ferma. È stato lì che Z ha iniziato a sudare freddo. Un nodo alla gola, l’ansia sempre più forte, la paura di soffocare, il tempo sembra per lei fermarsi.

Mi ha chiamata la mattina dopo, chiedendomi un appuntamento, “prima possibile”. I suoi occhi, ancor prima della sua voce, esprimevano dove fosse lei in quel momento. “È proprio così che mi sento, dottoressa, come i miei occhi: fissi. Così come sto io, in quell’ospedale, in quel reparto, ogni mattina.” E in contatto con quegli occhi potei cogliere l’immagine dei pazienti con i quali Z si confrontava ogni giorno, dei suoi colleghi, di quello spazio che, seduta dopo seduta, diventava sempre più stretto.

Non aveva ancora terminato l’assessment (un certo numero di sedute che seguono il primo contatto telefonico nel corso delle quali la persona accolta mette a fuoco la sua domanda e, in base a quanto emerge, il terapeuta valuta se e come procedere) quando mi disse che aveva compreso di cosa avesse bisogno per stare meglio, ma che la decisione era comunque molto dolorosa e difficile per lei.

“Quello che più mi disturba – riportava qualche settimana prima – è questa nausea, sono queste vertigini che sembrano arrivare sempre quando io dovrei essere totalmente concentrata sui bisogni dell’altro, di quei pazienti allettati che non hanno la minima autonomia.” Quando, a psicoterapia avviata, Z sottolineò di non comprendere come quella scelta che immaginava così dolorosa, una volta presa, le potesse aver dato tanto sollievo, ci accorgemmo che il nostro cammino insieme stava volgendo al termine.

Z fu molto rapida nel cogliere quanto il prendersi del tempo per sé, l’allontanarsi, seppur temporaneamente, dal suo impegno professionale sia stata la prima di una serie di scelte che la mettevano in contatto con risorse fino a quel momento soffocate. Soffocata! Così come si è sentita lei quella mattina, in quell’ingorgo. Oltre l’ansia, oltre gli attacchi di panico sono le direzioni in cui sento di andare ogni qualvolta riconosco le risorse della persona, che più o meno dolorosamente vengono bloccate.

Per uscire dall’impotenza occorre fare posto a delle prospettive desiderabili. Quello che lasciamo fuori spesso può rendere più visibile il potere e la bellezza di quello che teniamo dentro. Nella telefonata ricevuta sei mesi dopo la nostra ultima seduta, Z mi disse: “Ci tenevo a dirle che mi sento come tornata da un viaggio speciale, quello che ho sempre sognato e che ora sono pronta a continuare.” Le chiesi cosa avesse reso speciale quel viaggio fuori dalla produttività. “L’aver capito che ora posso. Posso concedermi una pausa. Posso dare e posso ricevere.”

Mi torna in mente la scrittrice francese Marie-Aude Murail quando scrive che “Aspettare un piacere è già un piacere!”. Il piacere di Z oggi passa attraverso il doppio significato della parola Cura: la cura di noi oltre che dell’altro da noi.

Gladys Pace
Psicologa-psicoterapeuta, specialista in Psicologia clinica

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