Il corpo e i suoi messaggi – parte 2

Salute Mentale corpo messaggi

Il corpo e i suoi messaggi

Il movimento favorisce il rilascio nel corpo delle cariche di energia date dagli stati emotivi.

Il caso di F.

Come quella di F quando, con gli occhi che brillavano nell’oscurità della sua scelta inaspettata, ha concluso la nostra prima seduta esclamando: La vita è dove sei! È arrivata a me, accompagnata dal marito, pochi giorni dopo l’ennesima diagnosi infausta, formulata dall’oncologo che l’ha seguita negli ultimi 5 anni. Al primo colloquio si sono presentati insieme. Hanno portato il rifiuto delle cure mediche da parte di F, sebbene le fossero state presentate come indispensabili, per gestire la progressione della malattia e gli effetti secondari che li avevano nuovamente travolti.

Nell’accogliere la richiesta d’aiuto è stato importante definire che il bisogno di uno spazio di cura, per affrontare quella comunicazione dolorosa e inaspettata, era di F. Tuttavia il supporto del marito ha contribuito a rinforzare l’importanza per lei, in quel momento, di trovare un sostegno psicologico. “Quale messaggio mi sta dando il mio corpo dottoressa?” mi chiese infatti qualche settimana più tardi, aggiungendo, poco dopo, di voler iniziare una psicoterapia. E i messaggi non tardarono ad essere raccolti, esplorati, a tratti masticati dopo che, a lungo e in diverse occasioni, erano stati rifiutati.

Quando F si accorse di essere lei al centro del mio sguardo e non la malattia che tanto spazio aveva preso nel nostro primo mese di lavoro insieme, il suo approccio al tempo per sé, che è parte integrante della seduta, si è improvvisamente ribaltato. Da lì in poi, settimana dopo settimana, F divenne via via più consapevole di quanto potere aveva dato negli ultimi tre anni ai sintomi organici e quanto poco alle sue emozioni.

La direzione presa fu quella di sostenere la paziente nell’ascolto di sé, delle sue sensazioni fisiche, della necessità di una terapia farmacologia adeguata e dei messaggi che continuamente il suo corpo le inviava. E un passaggio significativo verso una dimensione di maggiore accettazione di un importante cambiamento per lei fu compiuto al termine di un percorso in piccolo gruppo di sedute di Scrittura e Cura. Il metodo di Scrittura e Cura prevede l’ausilio della Scrittura nell’accompagnare il soggetto verso la cura di sé.

Si tratta di uno strumento utile a stimolare l’espressività di chi porta una richiesta d’aiuto, nel rispetto di tempi e modalità che si definiscono ad ogni incontro e la cui direzione guarda alla ricerca di nuovi equilibri. Questo metodo può trovare collocazione all’interno dell’ampia categoria delle terapie espressive con finalità terapeutico-riabilitative. Esso favorisce l’espressione emotiva della persona in trattamento, passando attraverso l’esperienza della scrittura e portando particolare attenzione al vissuto soggettivo.

“…il corpo sa esattamente cosa ci manca,
conosce ciò di cui ha bisogno,
quello che abbiamo sopportato a fatica.”

da La rivolta del corpo. I danni di un’educazione violenta
di Alice Miller

Tra le terapie a mediazione corporea che conduco in presenza di disturbi ansiosi, di somatizzazioni (cioè un processo nel corso del quale una persona può sperimentare una sofferenza fisica strettamente correlata a disagi psichici più o meno latenti) o nel trattamento del dolore cronico, il training autogeno favorisce un tipo di concentrazione che fa appello all’immaginazione, molto utile nel processo di cura. Il metodo, elaborato da Johannes Heinrich Schulz, agli inizi del 1900, prevede una serie di esercizi orientati a consentire al soggetto di rilassarsi in un tempo breve.

Il rimando dei pazienti è di una sorta di distanziamento dalla dimensione quotidiana che si verifica quando la persona dirige l’attenzione su di sé e, da lì a poco, avverte uno stato di sollievo. Gli approcci psicoterapeutici ad orientamento corporeo utilizzano il movimento espressivo e favoriscono il rilascio delle emozioni cariche di energia.

Alexander Lowen (lo psicoanalista che ha fondato la bioenergetica, metodo terapeutico che integra il processo analitico e il lavoro corporeo) definisce la corazza come il modello di tutte le tensioni croniche che accumuliamo nel corpo paragonandola ad una parete interna al corpo. Questa spaccatura, la cui funzione è di proteggere l’organismo dai pericoli provenienti dall’interno e dall’esterno, impedisce e blocca il fluire dei sentimenti e delle sensazioni dall’interno del corpo verso la superficie (F. Barbaglia, Ri-evoluzione nel corpo, Centro Scientifico Torinese, Torino, 1985).

Il caso di D.

Ricordo quando, una decina di anni fa, al termine di un percorso di rilassamento rivolto ad alcuni studenti di una scuola di teatro, una delle partecipanti, D, mi chiese una consulenza per una difficoltà ormai insostenibile nel gestire la sua ansia all’università, in famiglia e in tutte le situazioni nuove che si trovava a vivere. Il lavoro condotto l’ha portata nell’arco di poche settimane a sperimentare il movimento della sua allegria e vitalità grazie a delle semplici azioni che a lungo erano state inibite.

Prima erano la paura, l’ansia e il bisogno di approvazione a occupare tutto lo spazio. Poi da una seduta all’altra, attraverso il movimento espressivo, esercizi di vocalizzazione e un’attenzione alla consapevolezza corporea D è come sbocciata. Guidare l’auto, andare a cena fuori da sola, rifiutare un invito di un’amica, perché il bisogno reale era quello di restare una serata tranquilla sul divano a far le coccole alla sua gatta, sono stati i primi passi verso la scoperta di un’autonomia ricca di potenzialità.

Pochi anni dopo il termine del nostro breve percorso D mi ha spedito un invito alla prima di uno spettacolo. Era lei la protagonista. Le reazioni emotive (la rabbia, il dolore, la vergogna) sono spesso occasioni per dare senso ad esperienze confuse. E come terapeuta ho riscontrato molte volte quanto le persone più disposte a mettersi in gioco e a lavorare su di sé siano quelle che riescono poi a trasformare eventi destabilizzanti in occasioni di apprendimento.

Come raccontava Marco Polo di ritorno dai suoi viaggi, ci sono soltanto due modi per non soffrire l’inferno che soffriamo tutti i giorni. Il primo riesce facile a molti, accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più; il secondo è più rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio (I. Calvino, Le città invisibili, Giulio Einaudi, Torino, 1972).

Gladys Pace
Psicologa-psicoterapeuta, specialista in Psicologia clinica

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