Autismo: tra sintomi e risorse – parte 1

autismo

Le dimensioni dell’autismo: tra sintomi e risorse

Autismo: una sindrome che riguarda l’intera famiglia e non solo la persona colpita

La sezione 1.10.32 del “de Finibus Bonorum et Malorum”, scritto da Cicerone nel 45 AC

“Per sintonizzarsi con un altro non bisogna né rifiutarlo né fondersi con esso: si mantiene il proprio senso di sé mentre si risuona alla frequenza dell’altro e gli si permette di risuonare con la propria.” (J. Fisher, Guarire la frammentazione del sé, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2017). La diagnosi di disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD) rimanda a segnali, gradi e sintomi in diversi contesti nell’area della comunicazione e dell’interazione sociale e nell’area del comportamento, degli interessi o attività ristretti e ripetitivi.

I sintomi devono essere presenti nella prima infanzia (ma potrebbero non diventare pienamente manifesti finché le richieste sociali non eccedono i limiti delle capacità). I sintomi, nel loro insieme, limitano e compromettono il funzionamento quotidiano (APA 2013, American Psychiatric Association. Diagnostic and statistic manual of mental disorders – DSM 5). Nel passaggio dalla definizione di alcuni criteri diagnostici all’incontro con persone che hanno ricevuto una diagnosi che rientra in quest’area la variabilità delle situazioni è molto ampia. Si può per esempio riscontrare una difficoltà di comprensione automatica e intuitiva del funzionamento mentale altrui e una secondaria inadeguatezza in situazioni sociali e relazionali.

“In linea di massima, di tutte le cose che
hanno un grande significato in questo mondo,
non ce n’è quasi nessuna
che non richieda il trascorrere
di una grande quantità di tempo.”

Haruki Murakami

Il tempo della scoperta e quello del come approcciarsi ad una diagnosi, che da più di 70 anni porta con sé il peso di una “chiusura in se stessi”, sovente complicata da decifrare, difficilmente coincidono. E a questo aggiungiamo il fatto che ogni persona è un “caso” a sé. Per Emanuele, ad esempio, di cui scrive la mamma (buone notizie, Corriere della Sera, 8-10-19), la migliore terapia psicologica possibile è stata l’esperienza lavorativa. E la diagnosi riportata nell’articolo è di “autismo ad alto funzionamento”.

Tra i sintomi principali di questo disturbo abbiamo difficoltà nelle relazioni sociali e nella comunicazione. Attualmente nella pratica clinica i termini sindrome di Asperger e autismo ad alto funzionamento rimandano ad alcune sovrapposizioni cliniche e sintomatologiche. Possono essere utilizzati in modo intercambiabile per descrivere soggetti, con un quoziente intellettivo tutt’altro che deficitario (al contrario con aree con un ottimo funzionamento)

“Andavo in cerca della mia strada,
dovevo trovarla.
Sentivo che c’era.”

da Una vita, due vite
di Cristina Contini

Il caso di D.

“Sono qui per capire come” furono le prime parole di D, una volta sedutosi di fronte a me, il primo giorno in cui arrivò in studio. E quanto emerse nei colloqui di assessment (un certo numero di sedute che seguono il primo contatto telefonico nel corso delle quali la persona accolta mette a fuoco la sua domanda e, in base a quanto emerge, il terapeuta valuta se e come procedere) chiarì ad entrambi che il bisogno espresso ci rimandava al “come gestire i rapporti umani” che nel vivere la sua professione di musicista si trovava necessariamente a dover coltivare.

Si tratta dunque di trovare il giusto equilibrio, il giusto ritmo tra inspirazione ed espirazione, introversione ed estroversione, che si raggiunge quando l’educazione unisce in sé autorità ed amore (G. Burkhardt, Prendere in mano la propria vita, Natura e Cultura Editrice, Alassio, 1994). Al centro dell’attenzione con D abbiamo messo il “sentire”. Quando io sento – gli dissi – posso parlare di quello che mi succede nel corpo, delle mie sensazioni e dei miei sentimenti. Fu a partire dal sentire cosa D riconosceva nell’incontro con le altre persone che la terapia fu avviata.

Quello che io ebbi modo di cogliere era la forma che D aveva dato alla sua esperienza e, a partire da quella forma, potemmo muoverci insieme per comprendere un po’ di più. “Cosa sente ora?” chiesi a D mentre toccava un argomento importante per lui e i suoi occhi avevano cambiato espressione. “Sento che non sono più solo” mi rispose guardandomi negli occhi. Mi tornò in mente l’inchiesta realizzata dal giornalista statunitense Steve Silberman e la rivoluzionaria pubblicazione su i talenti dell’autismo e il futuro della neurodiversità (S. Silberman, Neurotribù, Edizioni LSWR, Milano, 2016).

L’idea che le diversità neurologiche siano il risultato di variazioni del genoma umano che possono portare con sé abilità, talenti inusuali e punti di forza specifici si fa storia. Gli esempi sono numerosi: uno fra tutti è quello di Temple Grandin. La giovane Temple, la cui diagnosi iniziale era di “danno cerebrale minimo”, nata nel 1947 (quando l’autismo era stato da poco descritto e analizzato), comprendendo la sua speciale affinità con gli animali, fece delle importanti scoperte che la resero un’affermata esperta di Scienze del Comportamento animale. Così scrive: «Insegnanti e genitori si preoccupano se un bambino disegna tutto il giorno o si occupa solo di insetti.

Li vorrebbero “normali”, ma questi bambini dagli interessi speciali possono, da adulti, fare cose straordinarie, se li incoraggiamo a coltivare le loro passioni. Almeno così è successo a me.» (T. Grandin, Siamo tutti inventori, Rizzoli, 2019). Gli incontri con D e con altri uomini e donne che negli anni ho potuto seguire, a partire da diagnosi tendenzialmente riconducibili all’area dei disturbi dello spettro autistico, mi hanno vista confrontarmi e accogliere persone le cui potenzialità e risorse racchiudono preziose eccezionalità. Per quanto peculiari possano essere comportamenti e bisogni, quando offriamo una risposta autentica a chi ci porta la sua domanda, la probabilità che qualcosa di importante passi è molto alta.

Gladys Pace
Psicologa-psicoterapeuta, specialista in Psicologia clinica

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