Influenza in pediatria

influenza e farmaci antibiotici

Influenza: attenzione al fai da te nella cura delle patologie invernali nei bambini

Nonostante i genitori italiani siano sempre più preparati e competenti, la stagione invernale riserva sfide a volte molto complesse, non sempre affrontate senza errori, per esempio nell’uso di antidolorifici, antipiretici e soprattutto in quello degli antibiotici, che vengono somministrati troppo, a volte con il fai da te, utilizzando confezioni già aperte e rimaste nell’armadietto dei medicinali.

Questi argomenti, ma anche l’importanza del vaccino antinfluenzale, da estendere anche al bambino sano in età prescolare, sono stati alcuni dei temi affrontati nel corso del 35° Congresso nazionale di antibioticoterapia in età pediatrica.

Prevenzione delle malattie respiratorie

Il primo passo rappresenta sempre la prevenzione.
Esistono numerosi fattori per considerare il bambino, anche quello sano, come target di interesse per la vaccinazione contro l’influenza. Innanzitutto il bambino da 0 a 5 anni si ammala d’influenza circa 10 volte più di frequente dell’anziano e circa 5 volte più dell’adulto, mentre quello da 6 a 14 anni si ammala d’influenza circa 8 volte più di frequente dell’anziano e circa 4 volte più dell’adulto.

Inoltre, per il bimbo sotto i due anni il rischio di ospedalizzazione è anche più elevato rispetto all’anziano. Infine, ma non ultimo per importanza, i bambini rappresentano i principali soggetti responsabili della trasmissione dell’influenza nella popolazione.

Recentemente l’Organizzazione mondiale della Sanità ha raccomandato lo sviluppo di vaccini quadrivalenti invece che trivalenti per una migliore copertura dei ceppi virali circolanti.

Nel complesso, un bimbo su quattro nei primi anni di vita soffre di infezioni respiratorie ricorrenti (Irr), principalmente a causa dell’immaturità del suo sistema immunitario e della presenza di fattori ambientali che aumentano il rischio di esposizione ad agenti patogeni. Per prevenirle si possono somministrare, su consiglio del pediatra, immunostimolanti e immunomodulatori.

La gestione di febbre e dolore

Al centro del dibattito del Congresso, le sindromi influenzali e l’appropriatezza posologica e terapeutica di paracetamolo e ibuprofene, con un focus sulle emergenze tossicologiche e i pericoli causati dall’abuso.

Secondo uno studio realizzato dall’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di cura del Policlinico dell’Università degli studi di Milano e recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista International Journal of Medical Science, febbre e dolore sono generalmente frequenti nei neonati e nei bambini di ogni età e rappresentano oltre il 30 per cento dei motivi che spingono i genitori a rivolgersi al pediatra.

«Il dolore nei bambini», sottolinea Susanna Esposito, presidente del Congresso, direttore dell’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di cura del Policlinico dell’Università degli studi di Milano e presidente WAidid, Associazione mondiale per le Malattie infettive e i Disordini immunologici, «è spesso associato a una malattia come un’influenza o a un infortunio e, in presenza di un malessere generale, riteniamo che il dolore debba essere trattato e non sopportato, anche quando il bambino non esprima verbalmente il proprio disagio».

È importante che gli antipiretici e gli antinfiammatori vengano somministrati sempre in base al peso e non all’età, non usando dosaggi per adulti. L’antipiretico va dato solo quando alla febbre si associ un quadro di malessere generale. Per garantire una copertura costante dal dolore gli analgesici vanno somministrati a orario fisso, con intervalli valutati in base al tipo di farmaco e al dolore. Paracetamolo, indicato per il dolore lieve-moderato, e ibuprofene, per il dolore con componente infiammatoria, sono gli unici antipiretici raccomandati in età pediatrica, sono farmaci generalmente sicuri ed efficaci, ma non bisogna mai superare le dosi consigliate.

L’antibioticoterapia

«Oggi in Italia, gli antibiotici sono i farmaci più utilizzati in età pediatrica, soprattutto per il trattamento delle infezioni respiratorie e, secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Arno nel 2011, vengono utilizzati dal 42 per cento dei bambini di età inferiore ad 1 anno, dal 66 per cento di quelli di 1 anno, dal 65 per cento tra i 2 e i 5 anni, dal 41 per cento tra i 6 e gli 11 anni e dal 33 per cento degli adolescenti tra i 12 e i 13 anni», spiega Susanna Esposito. A volte ne viene fatto un uso non necessario, e questo rappresenta non solo un danno per la salute del piccolo paziente ma anche un problema sociale.

«L’Italia», continua l’esperta «risulta tra i Paesi europei con i livelli più elevati di antibiotico-resistenza. Negli ultimi cinque anni la resistenza agli antibiotici è aumentata: se nel 2003 si attestava intorno al 21 per cento, oggi ha superato il 35 per cento». Gli antibiotici vanno assunti in modo corretto e il fai da te va sempre evitato. Questi farmaci sono efficaci per contrastare infezioni batteriche come per esempio tonsilliti, polmoniti e meningiti. Non servono però, o sono addirittura dannosi, contro i virus quindi contro il raffreddore o l’influenza.

«Quando si usano gli antibiotici», spiega Esposito «è necessario, inoltre, rispettare le modalità indicate dal medico: assumerli ai dosaggi raccomandati, con regolarità nell’arco della giornata e per tutto il tempo utile a ottenere la completa eliminazione dei batteri che hanno causato la malattia. In particolare, non si deve né aumentare, né ridurre il dosaggio prescritto: l’aumentarlo non aiuta a eliminare gli agenti infettivi ed espone al rischio di comparsa degli effetti tossici strettamente legati alla dose somministrata, il ridurlo non guarisce la malattia e favorisce la selezione dei batteri con minore sensibilità agli antibiotici che possono divenire la causa di ulteriori problemi per il paziente e, se diffusi nell’ambiente, indurre patologie difficili da curare».

In generale, gli antibiotici devono essere utilizzati per alcuni giorni ma, qualche volta per certe infezioni, anche per settimane o mesi. Nella massima parte dei casi 7-10 giorni possono bastare ma sarà il medico a decidere la durata minima dalla quale non si può prescindere.

Gli antibiotici prescritti per una patologia e che avanzano, poi, non devono essere utilizzati per un’altra malattia, a meno che non sia il medico a valutarlo. «Nel caso delle sospensioni orali», ricorda Esposito, «una confezione iniziata del medicinale non va mai conservata per usi futuri: innanzitutto perché, come indicato sulla scatola, gli antibiotici scadono, poi, perché il quantitativo di una scatola, di solito, corrisponde al trattamento minimo necessario e, quindi, può non essere sufficiente per una seconda terapia. Inoltre, le sospensioni utilizzate nel bambino, anche se conservate in frigorifero, una volta aperte perdono progressivamente di efficacia e non è corretto pensare di utilizzarle dopo 10-14 giorni dall’avvenuta preparazione».

Attenzione all’alimentazione: alcuni cibi possono interagire con gli antibiotici, potenziandone o addirittura annullandone gli effetti. «In genere», commenta l’esperta «si può dire che l’assunzione di cibi contenenti alte quantità di calcio come i latticini può interferire con l’assorbimento di certi antibiotici come i chinolonici e le tetracicline, che l’uso di cibi grassi rallenta l’assorbimento e quella di cibi liquidi lo velocizza». Le uova invece, contrariamente a quanto si crede, non sono controindicate quando si assumono antibiotici.

Paola Gregori

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