Terza età: se l’udito perde colpi – parte 1

Terza Età udito

Terza età: se l’orecchio perde colpi

L’indebolimento dell’udito insorge gradualmente nel tempo perciò non ci si rende subito conto che le capacità uditive stanno diminuendo.

L’indebolimento dell’udito

Con il progressivo invecchiamento della popolazione e il relativo aumento di soggetti anziani, crescono i disturbi tipici dell’età. Come la vista, infatti, anche l’udito cala con l’aumentare degli anni all’attivo. Superata la cinquantina, la normale funzionalità dell’orecchio inizia a diminuire, anche se l’incidenza maggiore dell’ipoacusia legata all’età (meglio nota come “presbiacusia”) interessa una quota relativamente elevata degli ultrasessantenni.

Una conferma viene dagli screening effettuati da Senior Italia FederAnziani su oltre 6.000 over 65, nell’ambito di una campagna di prevenzione in tutto il territorio nazionale, da cui è risultato che più del 37 per cento di questi soggetti (praticamente uno su tre) non “sentiva bene”. Secondo quanto stimato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), poi, entro il 2020 l’incidenza della disabilità uditiva negli adulti con più di 65 anni potrebbe far registrare un aumento del 50 per cento. Il che significa che in Italia, circa sette milioni di ultrasessantenni si troveranno a convivere con problemi all’udito.

Malgrado ciò, le ultime ricerche indicano che a oggi, nel nostro Paese, solo una minima percentuale (il 3 per cento circa) di coloro che accusano cali di udito ha avuto accesso a qualche tipo di cura, mentre il restante 97 per cento non ha mai ricevuto alcun trattamento. E come se non bastasse, addirittura uno su cinque fra gli over 65 con problemi di udito non esegue mai i necessari controlli, tanto che l’accesso ai servizi diagnostici audiologici per l’anziano sembra essere diffusamente sottoutilizzato.

È dunque fondamentale sottolineare l’importanza della diagnosi preventiva una volta raggiunta l’età a rischio: la soluzione ottimale sarebbe quella di sottoporsi al monitoraggio dell’udito con una certa cadenza (almeno annualmente), non esitando però a recarsi dal proprio medico o dallo specialista per una visita accurata già alla comparsa dei primi segnali d’allarme (vedi par. “Come riconoscerla”).

La presbiacusia vista da vicino

Con questo termine si intende una perdita uditiva che solitamente si manifesta bilateralmente e che il più delle volte insorge a causa di cambiamenti graduali dell’orecchio interno durante l’invecchiamento, soprattutto a causa del logoramento delle “cellule ciliate” (così chiamate perché provviste di piccoli peli) presenti all’interno della coclea. La loro funzione è di intercettare le onde sonore e trasformarle in impulsi nervosi da inviare al cervello.

Sfortunatamente queste cellule non sono in grado di rigenerarsi quando capita loro di danneggiarsi o morire, ragion per cui la maggior parte delle perdite uditive sono permanenti. L’indebolimento uditivo che caratterizza la presbiacusia è un fenomeno silente: nella maggior parte dei casi ha un decorso lento, vale a dire insorge a poco a poco nel tempo, il che la rende un deficit uditivo subdolo. Infatti, dato che il sistema neurosensoriale si adatta gradualmente alla nuova situazione, non ci si rende subito conto che le capacità uditive stanno diminuendo. E non aiuta, poi, il fatto che anche i normali interlocutori si adattino alla situazione, alzando il loro tono di voce.

Quando non è solo colpa dell’età

Oltre al naturale invecchiamento, diversi fattori possono incidere sull’insorgenza precoce o ritardata della presbiacusia. Tra questi, una predisposizione genetica o svariate condizioni di salute generale (precedenti malattie dell’orecchio medio, problemi circolatori dovuti a cardiopatie o ad altro, ipertensione, ipercolesterolemia, aterosclerosi, diabete, infezioni batteriche o virali, malattie autoimmuni, traumi).

Possono concorrere anche l’abuso di alcuni farmaci (come antibiotici, diuretici, antinfiammatori o antitumorali), nonché l’esposizione, protratta negli anni, a rumori forti (tipica quella per cause professionali), così come il fatto di aver ascoltato musica a tutto volume in gioventù. Ma anche uno stile di vita scorretto gioca un ruolo importante: sotto accusa il consumo di alcolici e nicotina e un’alimentazione disordinata.

Come funziona l’udito

I suoni che giungono sul padiglione auricolare vengono convogliati nel canale uditivo, cui spetta il compito di concentrare le onde sonore. Queste, alla fine del canale incontrano la membrana timpanica, la colpiscono e la fanno vibrare. Al di là della membrana c’è l’orecchio medio, una cavità dove si trova la catena degli ossicini, formata da martello, incudine e staffa: strutture che assolvono il compito di amplificare le vibrazioni timpaniche, trasferendole poi all’orecchio interno.

Quest’ultimo contiene a sua volta la coclea, una struttura a forma di chiocciola sulle cui pareti vi sono le cellule ciliate. Ognuna di esse entra in vibrazione a frequenze diverse, così che nel loro insieme sono in grado di captare una vasta gamma di suoni e rumori (alti o bassi, acuti o gravi). Quando una cellula ciliata viene stimolata da un suono, emette un impulso nervoso che, attraverso il nervo acustico, raggiunge il cervello per essere letto e interpretato.

Claudio Buono

© NOTIZIE PER TE – Farmauniti

Crediti immagine: Designed by Freepik