Rabbia e aggressività – parte 2

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Rabbia e aggressività

Rabbia e aggressività: evitando i conflitti, ci precludiamo la possibilità di scoprire che le situazioni di disaccordo possono essere risolte.

Anche quando si viene accompagnati per un breve tratto ci sono intuizioni capaci di lasciare il segno e la voglia di scoprire un po’ più su di noi e su quello che vogliamo fare della nostra rabbia, soprattutto quando realizziamo che la strada della repressione riduce la capacità di vivere e apprezzare la nostra vita. Il rimando di chi transita attraverso percorsi di cura, anche brevi (a volte possono essere sufficienti un numero limitato di sedute di consulenza per chiarirsi e attivarsi nell’andare verso la realizzazione di sé), racchiude sempre una via di cambiamento.

C’è chi è pronto a coglierla nell’immediato, chi necessita di un tempo più allargato. Eppure l’opzione di una nuova possibilità è già una finestra aperta su un paesaggio nuovo. E quanto più è forte il desiderio di raggiungerlo tanto maggiori sono le probabilità di mettersi in cammino.

“Perché l’unica verità è quella delle parole scritte.
Lì dentro c’è il fuoco acceso, c’è la pietra, c’è tutto.”

La scrittura o la vita
di Annalena Benini

Chi, durante l’infanzia, ha avuto la possibilità di reagire al dolore, ai torti e ai divieti esprimendo le emozioni di rabbia o di sofferenza potrà più facilmente conservare questa capacità anche in età adulta. Il bisogno di venire alle mani nasce nelle persone che devono stare attente a tener salda la diga che impedisce ai sentimenti di fuoriuscire, perché se questa si rompe tutto diventa imprevedibile (Alice Miller, For Your Own Good, Noonday Press, 1983).

Quando G arrivò in studio, la distanza tra la voce che al telefono sembrava potersi accompagnare all’immagine di una ragazzina e quell’aspetto, decisamente più maturo (per quanto giovanile nell’abbigliamento e nell’acconciatura), che ha mostrato nella prima seduta fu al centro del nostro percorso terapeutico. La scelta di chiedere aiuto arrivò come una diretta conseguenza del gesto che la donna, qualche giorno prima, non era riuscita a trattenere. Lo stupore è stato forte e la paura di agire emozioni fin lì represse fu evidente sin dalle prime sedute.

«Eppure la pazienza è sempre stata il mio punto forte» mi disse al principio della terapia. «Ma su che non devi arrabbiarti – mi diceva spesso la mia nonna del cuore – la tua sorellina è più piccola, non capisce. Tu invece sì che sei una bambina giudiziosa e devi avere pazienza». «Io però avevo sei anni appena e quando è nata L è come se fossi diventata trasparente» aggiunse. «Anche quando ero più grande e la mia migliore amica mi fece molto arrabbiare, il mio rifiuto di continuare a vederla fu totalmente ignorato dai miei genitori (allora molto amici dei suoi).

Sebbene per diversi giorni mi opposi con forza al ritrovarci tutti insieme a casa nostra o loro, mentre mi accorgevo di non essere presa del tutto in considerazione, cercavo di ripetermi che dovevo avere pazienza mentre un dolore allo stomaco ha iniziato a disturbarmi». Quel dolore negli anni prese a farsi sentire sempre con maggior frequenza e solo con la conclusione del nostro percorso tornò alla mente di G quella volta non si era palesato.

Quella volta in cui spaventata aveva chiesto aiuto a me, la pazienza, tanto raccomandata, era rimasta fuori dalla porta sbattuta violentemente sul naso della collega più giovane che, neoassunta, aveva cercato di accaparrarsi gli incarichi che da anni lei aveva acquisito e svolgeva con passione.

Sbilanciata tra la rabbia e il dolore, si è vista, in un tempo contenuto, in grado di togliere dal piatto i pesi che non le appartenevano, e la sorpresa di poter dire “no alla bambina giudiziosa” si accompagnò al piacere di sentirsi per la prima volta autentica. Riporto le sue parole: «ora mi sento Io». Evitando i conflitti, ci precludiamo la possibilità di scoprire che le situazioni di disaccordo possono essere risolte. Tolte dal piatto anche le emozioni aggrovigliate che pesavano sul suo stomaco nelle situazioni più critiche, G fece più spazio all’espressione di sé.

Un aforisma di Aristotele dice “Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendo”. E mi viene in mente quanto i ragazzi in adolescenza esprimono aggressività, nel tentativo di costruire la propria sicurezza, e, in cerca della propria identità, attaccano gli adulti di riferimento appellandosi proprio alla necessità di fare per apprendere. Il fare contempla anche lo sbagliare, il segnare un confine che può distinguerli dai genitori. Sta ai genitori l’attenzione a cogliere quei segnali che differenziano uno stato di disagio transitorio da situazioni che richiedono un intervento di supporto esterno.

Quando le trasgressioni, gli atteggiamenti fortemente irrispettosi, i comportamenti a rischio si presentano nel campo familiare è importante mettersi in discussione e andare insieme oltre gli agiti aggressivi e disfunzionali per trovare la via adeguata ad accompagnare la trasformazione del giovane verso l’età adulta.

È spesso eclatante nella famiglia, concluso il percorso e superata la fase critica, quanto l’autorevolezza finalmente riconosciuta dal figlio in crescita passi spesso attraverso l’ammorbidirsi della propria immagine di genitore “che non sbaglia mai” e che nel mettersi parimenti in gioco si offre nella sua più amabile umanità. Poiché non nasciamo genitori, sovente, proprio attraverso l’incontro con i figli che siamo stati, ha luogo la scoperta di quanto abbiamo in comune con i nostri figli e di quanto di unico ciascuno porta con sé.

Gladys Pace
Psicologa-psicoterapeuta, specialista in Psicologia clinica

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