Rabbia e aggressività – parte 1

Salute Mentale rabbia aggressivita

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Rabbia e aggressività

Rabbia e aggressività: evitando i conflitti, ci precludiamo la possibilità di scoprire che le situazioni di disaccordo possono essere risolte.

Non so da dove venga
questa carica di energia.
Ma c’è qualcosa
dentro di me che
rifiuta di rimanere
in queste condizioni.
Non importa quanto
ci vorrà. Anche un secolo.

Sì, no, Miami
La mia storia dai tacchi a spillo all’ictus e ritorno
di Lisa Festa

Nel toccare la rabbia, seppur in punta di dita, l’immagine che arriva immediata è di una grande forza, un miscuglio di emozioni e di energie, di fronte alle quali si aprono diverse vie: alcune costruttive, altre implosive e altre ancora dispersive o distruttive. Penso alla sfida che alcuni giocano quando la malattia interrompe il ritmo di giovani vite ancora da immaginarsi, al ritiro di certi adolescenti in mondi
virtuali e al perdersi disperato di alcune donne vittime di violenza prima di riuscire a chiedere aiuto.

Eppure le situazioni critiche dove l’aggressività occupa un posto di rilievo sono anche meno eclatanti di quelle citate e spesso comunque molto complicate da gestire quando si tende a confondere il sano con il perverso. Le nostre emozioni usano il corpo per esprimersi. Riconoscerle è necessario, oltre che ad orientarci, a compiere scelte adeguate e consapevoli. La rabbia è una risposta emotiva intensa e i correlati fisiologici che può portare con sé sono diversi: l’aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della temperatura corporea, i muscoli tesi, la fronte corrugata…

A volte agisce come una spia che, tempestivamente riconosciuta nel suo valore adattivo, favorisce lo sviluppo di alcune capacità. In altri casi sottende il bisogno di cercare uno sbocco per tensioni accumulate. Per esempio nelle situazioni di crisi di coppia, gli episodi che vengono portati in terapia ruotano intorno agli attacchi che in modo alternato nella coppia vengono agiti e subiti. E se al principio la domanda di aiuto arriva principalmente da chi richiede telefonicamente il primo appuntamento, dopo le prime sedute, quando entrambi i soggetti hanno iniziato a portare nello spazio della terapia i nuclei aggressivi che rivelano quanto di represso oscura il quotidiano, la dinamica pare ribaltarsi.

E chi è stato “trascinato” scopre di volere essere colui o colei che “trascina”. Le situazioni che si concludono positivamente e in tempi brevi sono proprio quelle in cui le persone si affidano alle conseguenze del poter esprimere vissuti anche dolorosi e conflittuali che richiedono tuttavia di essere trattati, e non evasi o occultati.

“Quando cominciai ad esaminare
la natura dell’aggressività, mi convinsi sempre più
che non era un’energia in sé,
ma che era una funzione biologica…”

L’io, la fame, l’aggressività
di Frederick Perls

L’aggressività fa parte del nostro corredo in quanto esseri umani. Distinguiamo però una forma sana e necessaria alla sopravvivenza e un’altra di carattere distruttivo. Entrambe influiscono nelle dinamiche delle relazioni. La sana aggressività contribuisce alla creazione di legami. Pensiamo ad esempio al neonato che, per sopravvivere, si attacca al seno della mamma e succhia e preme, in cerca di nutrimento e di conforto. Lì siamo in presenza di una pulsione funzionale ai bisogni di sviluppo. Diversamente la distruttività annienta, disfa il costruito. E il potere che si libera quando le persone arrivano ad esporsi (portando e affrontando situazioni a rischio, dove la violenza toglie vitalità) è una risorsa che viene finalmente “riacquisita”.

«È stato molto difficile arrivare qui», mi disse L al termine delle nostre sedute di assessment (un certo numero di sedute che seguono il primo contatto telefonico nel corso delle quali la persona accolta mette a fuoco la sua domanda e, in base a quanto emerge, il terapeuta valuta se e come procedere). «La cosa più importante è stato capire di non essere io a dovermi vergognare o nascondere», aggiunse prima di salutarmi e di rivolgersi a un centro di accoglienza per donne vittime di violenza.

Mesi dopo tornò per partecipare ad un gruppo di Scrittura e Cura (questo metodo prevede l’ausilio della Scrittura nell’accompagnare il soggetto verso la cura di sé. Si tratta di uno strumento utile a stimolare l’espressività di chi porta una richiesta d’aiuto, nel rispetto di tempi e modalità che si definiscono ad ogni incontro e la cui direzione guarda alla ricerca di nuovi equilibri) (Scrittura e cura – parte 1 e parte 2) il cui tema condiviso e sviluppato dai partecipanti era stato “la gestione dell’aggressività”.

Gladys Pace
Psicologa-psicoterapeuta, specialista in Psicologia clinica

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