Quando il cibo diventa un problema – parte 1

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Quando il cibo diventa un problema
Spesso sono le mamme a rivolgersi a me quando i giovani figli mandano i segnali di richiesta di attenzione attraverso l’astinenza o l’eccesso di cibo.
Quando lavoro con ragazzi preadolescenti mi accorgo sovente di quanto il continuo riaggiustamento della loro posizione sia correlato ad una pressante ricerca di equilibrio in quel periodo “di muta” in cui, per dirla con le parole della collega Sofia Bignamini (I mutanti, Solferino, Milano, 2018), lasciano i panni del bambino per divenire giovani uomini e donne, cambiando le forme del corpo, del viso, ma anche della mente. Il bisogno di conferme, la vulnerabilità, la ricerca di una propria identità sono alcuni dei territori da attraversare quando ci si trova su quella terra di mezzo, dove le trasformazioni non sono ancora state integrate.
“Essere amati” è qualcosa
L’arte della vita
che non ci si guadagnerà
e non ci sarà confermato mai “a sufficienza.”
di Zygmunt Bauman
Nelle dinamiche familiari i disturbi alimentari introducono l’elemento del disorientamento. E uscire dal circuito emotivo di rabbia, solitudine e senso di colpa a molti appare un miraggio. Alcune psicoterapie condotte con giovani intrappolate nel dolore dell’anoressia sono state dei veri e propri viaggi verso l’imperfezione. Spesso sono le mamme a rivolgersi a me quando le giovani figlie mandano i primi segnali importanti di richiesta di attenzione attraverso l’astinenza o l’eccesso di cibo.
«L’ho portata dal dietologo perché mi diceva di sentirsi grassa e a disagio con i suoi coetanei. In effetti qualche chilo in più l’aveva». La storia di L ha diversi aspetti in comune con altre situazioni nelle quali il passaggio dal peso ideale al sottopeso sfuma nell’impossibilità temporanea di trovare la matassa di un cammino via via più incerto e doloroso.
«Subito sembrava che i chili persi le avessero fatto bene. Aveva preso a uscire di più con le sue amiche. Poi però dalla dieta originaria ha iniziato a togliere i dolci, il pane e poi la pasta finché la situazione è precipitata». Le difficoltà alimentari (più di altri disturbi) soprattutto se accese e prolungate, vanno ad influire pesantemente sugli equilibri familiari. Il disagio è condiviso, ma il paradosso è che la percezione è molto diversa, a seconda di chi rinuncia o eccede con il cibo e di chi vorrebbe convincere l’altro a nutrirsi di più o di meno.
Esserci significa occupare uno spazio, farsi sentire, uscire dal silenzio; significa “consistere” anche attraverso lo scontro. (G. Buzzatti, A. Salvo, Il corpo-parola delle donne, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998). Ci sono mamme mosse dalla necessità di differenziarsi nelle quali, a volte, alla sorpresa iniziale manifestata nel ricevere la proposta di un percorso di assessment (un certo numero di sedute che seguono il primo contatto telefonico nel corso delle quali la persona accolta mette a fuoco la sua domanda e, in base a quanto emerge, il terapeuta valuta se e come procedere), segue la messa a fuoco di bisogni trascurati dei quali possono scegliere di prendersi cura.
Fu questo il caso di S. Al quarto colloquio mi disse «Non sono più così sicura che sia A ad avere bisogno di aiuto. Da quando mi ha vista rivolgermi a lei e prendermi questo spazio per me, il suo atteggiamento verso il cibo è cambiato». A era presente al nostro primo colloquio, durante e al termine del quale aveva chiaramente espresso di non voler fare alcun percorso. Il bisogno di cure non era il suo.
La perdita di peso segnalata con preoccupazione dalla mamma era stata in realtà correlata a un’influenza gastrointestinale che l’aveva debilitata parecchio. In effetti a una decina di mesi da quel colloquio, con l’inizio della sua psicoterapia, fu S, un pomeriggio d’autunno, a dirmi: «Sa, dottoressa, quando mi sono rivolta a lei tutto avrei pensato, tranne che mia figlia fosse serena con i suoi cinque chili in più e che io stavo in realtà spostando su di lei le mie storie irrisolte».
Gladys Pace
Psicologa-psicoterapeuta, specialista in Psicologia clinica
“Perché l’unica verità
La scrittura o la vita
è quella delle parole scritte.
Lì dentro c’è il fuoco acceso,
c’è la pietra, c’è tutto.”
di Annalena Benini
Anni fa, in un percorso di “Scrittura e Cura” (metodo che prevede l’ausilio della Scrittura nell’accompagnare il soggetto verso la cura di sé attraverso sedute individuali o sedute di gruppo) (vedi Scrittura e cura – parte 1 e parte 2) rivolto a familiari e persone coinvolte in disturbi alimentari, il momento più significativo sperimentato nel gruppo fu quello in cui risultò chiaro ai partecipanti che ogni storia condivisa può essere la nostra.
Lo è quella di una madre sofferente per il rifiuto di alimentarsi della figlia adolescente, al pari di quella di un figlio che si confronta da anni con l’assenza del padre o quella di chi accompagna madri e figli alla scoperta di una nuova storia. È quella dove l’amore può arrivare molti anni dopo la sofferenza e scaldare i cuori ancora pulsanti di chi arriva a condividere la propria esperienza, unica e universale a un tempo.
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