Perché la psicoanalisi?
Perché la psicoanalisi?
Perché aggiungo la psicoanalisi freudiana e lacaniana? Domandarsi oggi che senso può avere un’analisi è, a mio parere, quasi un’urgenza, al fine di orientarsi nella varietà dell’offerta terapeutica contemporanea. La psicoanalisi è una prassi di cura? E se sì, di quale cura si tratta? Sotto l’insegna psi sono nati nel secolo scorso molti indirizzi psicologici guidati però da etiche e metodologie estremamente differenti. Che cosa caratterizza una clinica psicoanalitica? A chi mi dice oggi, e talvolta succede, che Freud è sorpassato, antico, rispondo come certamente la cura cambi con il procedere dei tempi, ma anche con l’invito a leggere Freud, perché chi lo trova antico di norma non lo ha letto. La cura analitica è la cura del corpo attraverso la parola a partire dall’ipotesi che l’uomo e la donna siano dotati di un inconscio, in quanto esseri parlanti.
Questa formulazione tiene conto della tesi di Jacques Lacan per cui l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Lacan rilegge Freud e recupera la radicalità e la precisione dell”insegnamento freudiano a partire proprio dal concetto di inconscio. L’inconscio si mostra al soggetto nei sogni, nei lapsus, negli atti mancati, nel motto di spirito, è dunque in relazione strettissima con il linguaggio. Lacan riprende questo aspetto e lo pone a fondamento della sua clinica ampliando con la pratica le possibilità di intervento per lo psicoanalista, oggi impegnato nella clinica non più e non solo con le nevrosi. Freud e Lacan, con parole differenti, non fanno che sottolineare quanto la persona non sia padrona del linguaggio. Quando parliamo abbiamo l’illusione di scegliere le parole che pronunciamo, in realtà la scelta è determinata da motivazioni inconsce. Talvolta le parole parlano al posto nostro 0 forse ci parlano, nel senso che dicono ciò che non voleva essere detto. Qualcosa sfugge e quel qualcosa è l’inconscio, di cui non sappiamo nulla, se non a partire dall’ipotesi che esista. L’unica clinica che, nella pratica, prende in considerazione l’inconscio è la psicoanalisi.
L’inconscio è particolare a ciascuno ed è a causa della sua esistenza che lo psicologo, il terapeuta, il medico che intende lavorare secondo una certa etica non può esimersi dall’iniziare un’analisi: “Chi abbia familiarità con l’essenza della nevrosi non si stupirà di sentire che anche colui il quale è perfettamente capace di esercitare la psicoanalisi sulle altre persone, può comportarsi come qualsiasi altro essere umano e produrre le resistenze più intense appena egli stesso sia fatto oggetto della psicoanalisi” (Freud). Chi inizia un’analisi, che si tratti di un medico, di un artigiano, di un insegnante constata quanto il desiderio di iniziarla, la fiducia nel metodo e l’impegno cosciente a comprendere se stessi valgano poca cosa rispetto al potere delle resistenze. Ciascuno nasconde a se stesso il cuore della propria questione.In analisi dunque il lavoro si compie parlando e quando si parla non si può che farlo a partire dalle proprie mancanze e dagli inciampi della vita, affinché nasca una parola nuova. Nell’immaginario comune l’inconscio è rappresentato come un buco, un luogo oscuro quasi dantesco in cui sarebbero sepolti vecchi scheletri, che Fanalista avrebbe il compito di riesumare. L’analisi non è questo, non è ascrivibile ad una dimensione di verticalità come alcuni analisti hanno erroneamente trasmesso, è un percorso orizzontale dove si parla per imparare a parlare veramente.
L’inconscio è una pausa nel discorso, si apre e si richiude come una fessura, pulsa come un battito cardiaco, appena si svela compare
nuovamente. Chi va oggi a parlare a un analista? Le persone si rivolgono a un curante a partire da uno stato di malessere e non può che essere questa la via di accesso ad una cura psicoanalitica. Le motivazioni sono differenti: fenomeni sintomatici nel corpo, stati acuti di sofferenza, emicranie, ansia, situazioni di dipendenza patologica e così via, ma tutte hanno alla base una domanda di guarigione, di cambiamento richiesto spesso in tempi rapidissimi. Le persone vogliono guarire e subito, ma questa non è una novità: “Nessuno normalmente si aspetterebbe che un pesante tavolo possa esser sollevato con due dita come si trattasse di un leggero sgabello, che si possa costruire una grande casa nello stesso tempo richiesto per erigere una piccola capanna di legno; eppure, appena si tratta delle nevrosi anche persone intelligenti dimenticano la necessaria proporzionalità tra tempo, lavoro e risultato…La nevrosi è per questa gente una sorta di fanciulla in terra straniera. Non si sa da dove venga e perciò ci si aspetta che un ben giorno sparisca” (Freud). Definirei la psicoanalisi un’arte logica fuori dal discorso comune, che permette a ciascuno di scoprire la propria particolarità.
È arte in quanto creativa cioè unica, non esiste una cura che possa assomigliare ad un’altra anche per due soggetti sofferenti di quello che apparentemente è uno stesso sintomo (es. panico); è logica, in quanto mette al lavoro l’inconscio del soggetto, che è regolato strutturalmente come il linguaggio. La psicoanalisi è creativa quanto rigorosa nel metodo e sopra ogni cosa non è una terapia basata sull’empatia, sulla comprensione dell’altro. L’empatia è una qualità importantissima nelle professioni di aiuto alla persona, ma non nella clinica, dove la persona chiede giustamente di essere curata non consolata o capita.
Alessandra Fontana
Psicoterapeuta
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