Pensa poco chi fa poco moto – parte I
IL TITOLO
Per giustificare questo titolo è necessario ritornare indietro nel tempo, al tempo del Liceo; di solito all’inizio della primavera entrava in aula il bidello con il registro di classe, su esso il Preside aveva vergato una annotazione con la quale si comunicava che il giorno successivo un manipolo di studenti sarebbe stato assente per poter partecipare a manifestazione sportiva (solitamente di atletica leggera) di livello municipale, provinciale o regionale; il comunicato interrompeva (per il calcolo delle probabilità) una lezione di lettere italiane o latine e il professore si irritava poiché la decisione era stata dettata dal suggerimento del solo professore di Educazione Fisica, suggeritore assoluto e indiscusso e indiscutibile vista l’approvazione formale da parte del Preside; cominciava così il nostro professore una valutazione dei singoli dichiarati “assenti giustificati” con consigli personalizzati: ”Lei è meglio che si applichi maggiormente nelle materie letterarie e scientifiche” (e questo era già più che un consiglio, dal momento che dopo la primavera sarebbe arrivata l’estate) oppure: ”Bene, penso che essendo lei un giovane serio, forse troppo serio, possa trarre beneficio dal contatto umano in una manifestazione sportiva con altri e altre giovani”.
E così il pensiero mi è andato nei giorni estivi alle numerose volte nelle quali mi trovavo a praticare qualche esercizio fisico (il ciclismo, lo sci di fondo, il cammino in montagna) che mi consentiva di rimuginare pensieri sui sentieri della mente per minuti e minuti e ore e quindi a riflettere, a pensare; erano momenti prolungati nei quali scrivevo lettere e articoli non in senso pratico, ma interiormente e mentalmente, brani che si sarebbero poi articolati e concretizzati su carta al mio ritorno a casa. Ma il 23 agosto 2012, in mio aiuto è giunto un articolo nelle pagine interne del Corriere della Sera, in quelle giornate estive nelle quali abbiamo il tempo di sfogliare il giornale interminabile pagina per pagina, il cui titolo diceva a margine delle Olimpiadi di Londra “La corsa ci rende uomini”; descriveva l’autore il comportamento dell’uomo due/tre milioni di anni fa quando viveva in una foresta ed era costretto al confronto con la fauna in un contatto uno contro uno con buona probabilità in parecchi casi di risultare sconfitto; ma un milione di anni fa con la modificazione dell’Africa Centro Orientale, ove il nostro antenato viveva, da zona forestale a zona caratterizzata da estese praterie ecco concretizzarsi un vantaggio biologico: l’uomo aveva, come tuttora ha, la possibilità di disperdere calore in misura elevatissima mentre gli animali seppur più veloci non possiedono questa dote che consente resistenza alla corsa.
E così si è selezionato un essere umano con il bacino più piccolo per facilitare la corsa, gli essere umani sono quindi nati un po’ prematuri, con meno pelo addosso, prematuri ma non in misura tale da compromettere la dimensione del cranio che appena appena poteva passare per il bacino della femmina; non solo poteva disperdere calore, ma l’uomo anche si organizzava in gruppo per rincorrere la preda e all’origine di questo comportamento vi era la produzione di un fattore di crescita neurale che la corsa sviluppa e che consente all’uomo una migliore organizzazione dei propri comportamenti nella caccia. Chi fa poco moto non stimola la formazione di questo fattore di crescita neurale e quindi alla fine pensa meno… pensa poco… chi fa poco moto…
IL LIMITE… LA TEMPERANZA… LA SPORTIVITÀ…
Il concetto di limite dovrebbe essere sottolineato nell’insegnamento scolastico così come dovrebbe essere sottolineato quello di gradiente. Noi dobbiamo esplorare il nostro limite fisico così come fanno i campioni dello sport che hanno l’obiettivo di superarsi e di stabilire un nuovo “limite” un record che sarà poi destinato nel tempo ad essere superato da chi esplorerà un nuovo proprio limite; ma anche noi, che non siamo campioni, possediamo uno straordinario motore biologico di cui non conosciamo le capacità, di cui non conosciamo il limite, che abbiamo la possibilità e anche il dovere di esplorare per “far fruttare i nostri talenti”; è un limite che però dobbiamo anche rispettare perché un giorno compare il dolore, segnale che ci dice che ci dobbiamo fermare, fare una sosta, ma ciò non vuol dire che dobbiamo arretrare anzi non dobbiamo arretrare mai perché in tal caso entreremmo in una fase di involuzione fisica (che poi visto il titolo non sarebbe solo fisica) dalla quale non ci riprenderemmo più. È nostro compito accompagnarci alla fatica di Sisifo che spinge il masso fno a che questo ritorna alla base della collina, ma questo è il nostro compito, ricostruirci, allenarci nuovamente fino ad ottenere un lento, graduale, inarrestabile progresso fno al nuovo dolore, al nuovo stop e a fare compagnia a Sisifo.
Ciò comporta che tutti noi conserviamo il desiderio del nostro essere per il futuro, il desiderio di ciò che saremo o vorremo fare “da grandi” anche se siamo già avanti negli anni. Socrate (470-399 a.C.) si rivolgeva agli Dei e chiedeva loro di poter essere “bello dentro” e chiedeva loro la saggezza per poter “vivere in pace con gli altri uomini”; Salomone (1010-931 a.C.) offriva olocausti costruiva un tempio al Signore e il Signore gli chiedeva che cosa volesse in dono: “la saggezza per governare bene il mio popolo che Tu mi hai affidato” (giaculatoria che ogni politico del mondo dovrebbe recitare ogni giorno al risveglio); e Dio lo remunerava riccamente perché Salomone non aveva chiesto di vivere più a lungo, né di essere materialmente ricco, né di vedere eliminati i suoi avversari, ma di avere… la saggezza per governare il suo popolo… E per rimanere nel tempo che viviamo, Franco Battiato il cantautore catanese che canta “cerco un centro di gravità permanente per stare in pace con le cose e con la gente!”.
Ecco quindi la temperanza che affiora da questi desideri, la temperanza che dovremmo usare per non cambiare idea tre volte prima che il gallo canti, la temperanza che dovrebbe aiutarci a trovare le giuste misure con chi ci circonda effettuando non solo sette tentativi ma settanta volte sette… e allora potremmo tornare agli inconsapevoli protagonisti della nostra conversazione, i professori di Educazione Fisica e di Lettere, il primo che dovrebbe guardare gli studenti non solo con l’occhio alla loro prestazione fisica fatta di metri, centimetri, minuti primi e minuti secondi ma di senso dello sport che impegna ognuno a dare il meglio di sé per superare gli altri e se stessi, nel rispetto della bravura degli avversari, senza l’uso di sostanze nocive, senza imbrogli artificiosi, per tenere alto l’onore della scuola alla quale si appartiene, per prepararsi alle competizioni ben più ardite e insidiose che la vita ci proporrà… il secondo (il professore di Lettere) che non dovrebbe guardare solo con sospetto (anche se talvolta fondato) l’attività fisica, praticata a scapito dello studio delle altre materie, ma dovrebbe guardare ad essa anche come una opportunità aperta al confronto, alla riflessione, alla possibilità che… oltre all’italiano, il latino, la storia, la filosofia, la matematica… anche la corsa… ci possa rendere uomini…
Eros Barantani
Istituto Auxologico Italiano
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