Il volto segreto di arnica montana
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Il rimedio omeopatico è in grado di sollevare lo spirito di chi ha subito duri colpi dalla vita
Arnica montana, l’arbusto dai fiori gialli simili a margherite, è conosciuto da tempo come rimedio per contusioni, ematomi, traumi, conseguenze di sforzi fisici, fatiche sportive, o per microtraumatismi ripetuti. Meno conosciuto è il potere di questa pianta, con le sue radici, foglie e fiori, per sollevare, preparata col metodo della diluizione omeopatica, anche lo spirito di chi ha subito duri colpi dalla vita.
Ormai presente nelle sacche di molti sportivi, è impiegata per impacchi locali, in creme, gel, oli da massaggio, è un rimedio diffuso e conosciuto, anche per traumi dovuti a lavori faticosi e usuranti, come quello dei muratori, degli operatori sanitari che sollevano i malati ogni giorno, degli addetti d’imprese di pulizie o della manutenzione strade.
In granuli preparati secondo la diluizione omeopatica è una gran risorsa sia per i traumi da cadute, traumi da impatti violenti con gli avversari negli sport come il rugby, sia quando le fatiche di allenamenti, partite e performance hanno sfinito e sfibrato il corpo, che, indolenzito dalla stanchezza, non trova modo di riposare, sentendo l’appoggio di ogni parte del corpo dolorosa.
Arnica è il rimedio omeopatico del “colpo al cuore”: quando un evento drammatico o spiacevole, una perdita finanziaria, una delusione, una cattiva notizia improvvisa, una estenuante fatica sia fisica che intellettuale lasciano il segno nel corpo e nello spirito, e questo segno appare come un’astenia dolorosa, come se un colpo durissimo lasciasse prostrati, senza parola, silenziosi e assorti. Per riprenderci abbiamo bisogno di non essere disturbati, toccati, avvicinati.
Tutto ci fa male, il cane dell’amica che ci salta addosso per farci festa, il nipotino che i corre incontro per saltarci in braccio, non vogliamo essere sfiorati, nemmeno gli abbracci dei familiari, dell’innamorato o del consorte possiamo sopportare, e pronunciamo la frase di chi ha bisogno di Arnica per una caduta o un incidente: «lasciami in pace, va tutto bene, vattene via, ora mi riprendo!»
La pianta dell’Arnica è chiamata dai francesi anche: “Herbe aux prêcheurs”, erba dei predicatori, adatta per aiutare chi si affatica oltre i limiti per un fine superiore, e non risparmia le forze per salire sempre più in alto, con lo spirito e con la fatica, ed esagera con gli sforzi, gli impegni e il lavoro.
Resiste ostinatamente ai consigli di risparmiarsi, e ritiene che il proprio compito sia importante, e vuole essere lasciato in pace per compierlo, proteggendo gli altri con il suo coraggio e la sua perseveranza. «Troppo stanco per dormire, ha parlato talmente tanto che la voce non esce più, afono per lo sforzo, sfinito dalle prove a cui si è sottoposto».
Dice l’omeopata francese Didier Grandgeorge che la lezione di Arnica è d’imparare a condividere la fatica con gli altri, perché non siamo soli in questo mondo, e per sostenere l’impegno è bene condividerlo. Quando la fatica lascia dei segni, fisici ed emotivi, il rimedio Arnica è una risorsa di cui riconoscere l’opportunità in quel momento. Spesso i granuli sono nell’altra stanza.
Il nonno di Giulio
Giulio ricorda di quando suo nonno, da affettuoso e socievole, divenne improvvisamente scuro, triste, abbattuto, solitario: «Non mi voleva più intorno, mi mandava a giocare da un’altra parte, non voleva ascoltare il racconto delle mie prime avventure sportive, eppure ero piccolo, non andavo ancora alle elementari, e il nonno prima era sempre intenerito da me e interessato alle mie prodezze.
La nonna diceva che il nonno “aveva subito un duro colpo”, “una tremenda delusione” che aveva a che vedere con la crisi economica dell’Argentina. La nonna sdrammatizzava, ma la vita in casa non era più la stessa. Poi il nonno si ammalò e ci lasciò, e ora c’è solo la nonna. Sto studiando Medicina ora, e leggo testi di omeopatia, un pensiero ricorrente è quello dei granuli di Arnica, allora erano nella mia sacca, avrebbero forse fatto bene al nonno».
La migliore commessa dell’anno
Valeria voleva dimostrare che in questi tempi di lavori precari, instabili e incerti l’impegno poteva dare grandi risultati: così, lavorando in due realtà commerciali diverse, aveva riempito il suo orario settimanale fino a circa 50 ore, dando disponibilità anche alla sera, se avessero avuto bisogno di lei.
Saliva le scale e le ridiscendeva centinaia di volte con scatoloni di stivali, scarpe eleganti e sportive, fino a sfinirsi: metteva a posto ogni cosa, lasciava il posto di lavoro per ultima, e arrivata a casa voleva solo stare tranquilla, il fidanzato non poteva nemmeno avvicinarsi, la stancava, e il fratellino veniva allontanato come un piccolo importuno, finché non accettò di prolungare l’orario, e quando tornava tutti ormai dormivano.
Una brutta storta alla caviglia rischiò di farle perdere giorni di lavoro, ma monodosi ripetute di Arnica omeopatica accelerarono la sua guarigione, tanto che non perse nemmeno un giorno di lavoro, Dopo Arnica Valeria resse meglio la fatica, e arrivata a casa le persone care la aiutavano a riprendersi dalla giornata.
I dubbi del medico
Un medico eccessivamente provato mentalmente e fisicamente aveva perso il desiderio di lavorare, ogni giorno dubitava delle sue prescrizioni, si chiedeva se erano appropriate e se aveva dato tutte le spiegazioni al paziente. Dubitava anche di aver chiuso la porta, spento le luci, e doveva tornare indietro a controllare.
Questo cambiamento lo preoccupò, e una sola dose di Arnica lo fece ristabilire in pochi giorni, facendogli ritrovare la memoria e la sicurezza. Questo caso è citato nel terzo volume della “Materia medica viva” di George Vithoulkas. I due casi precedenti sono frutto della mia fantasia.
Anna Maria Coppo
Farmacia San Giuseppe, Settimo Torinese
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