Differenze, risorse del soggetto

Come intendere il significante “straniero”?
E’ inevitabile oggi associarlo a clandestino, immigrato, esule politico. Abbiamo davanti agli occhi immagini inquietanti di colonne di esseri umani che trascinano i loro corpi non si sa dove. Li troviamo stipati su barconi in balìa degli umori del mare e di coloro che chiamiamo modernamente “scafisti” che in un tempo non poi tanto remoto si identificavano in “schiavisti”.
Come leggere questo fenomeno? Quali ipotesi possiamo formulare, quali analisi mettere al lavoro di fronte al dilagare del razzismo alla cui base non c’è uno scontro di civiltà, bensì di godimento?
La differenza dell’Altro, tanto difficile da sopportare, è anzitutto una differenza del modo di godere. Modo di godere inteso come un sentimento soggettivo di soddisfazione; dall’esperienza della vita di ciascuno di noi, possiamo constatare che il godimento non è lo stesso per tutti, ossia è particolare a ognuno, e che quello che può soddisfare qualcuno lascia completamente indifferente qualcun altro. Nel sociale possiamo anche osservare che ogni tentativo di normalizzare il godimento dell’Altro, del rifugiato, dell’emigrante, di colui che è ritenuto diverso, produce degli effetti di segregazione e di razzismo.
Freud nel lontano 1915 ha tentato di chiarire i numerosi enigmi della psiche degli esseri umani, e in una lettera a un suo collega scrive: “Dallo studio dei sogni e delle azioni mancate delle persone sane, oltreché dei sintomi nevrotici, la psicoanalisi ha tratto la conclusione che gli impulsi primitivi, selvaggi e malvagi dell’umanità non sono affatto scomparsi, ma continuano a vivere, seppure rimossi (così ci esprimiamo nel nostro gergo), aspettano l’occasione di potersi riattivare. La psicoanalisi ci ha inoltre insegnato che il nostro intelletto è qualcosa di fragile e dipendente, gingillo e strumento delle nostre pulsioni e dei nostri affetti, e che siamo costretti ad agire ora con intelligenza ora con stoltezza a seconda del volere dei nostri intimi atteggiamenti e delle nostre intime resistenze. Ebbene, guardi cosa sta accadendo in questa guerra, guardi le crudeltà e le ingiustizie di cui si rendono responsabili le nazioni più civili.”
Possiamo riflettere in parallelo a questo “antico” discorso per constatare che i campi di accoglienza e di identificazione dei migranti esprimono una difficoltà a sopportare chi gode in modo diverso. Nell’epoca del godimento globalizzato, è difficile confrontarsi con il tempo dell’altro, con l’imprevisto, l’impensabile, il rischio.
Il migrante, animato da un’urgenza, da una diversità fa saltare tutti i nostri parametri di sicurezza, di previsione e di garanzia.
Dall’esperienza psicoanalitica abbiamo appreso che per ogni individuo l’instabilità economica, quella sociale o quella affettiva può contribuire a scatenare, o quanto meno ad alimentare uno stato di angoscia e una sofferenza che si manifesta in modo singolare a ciascuno, così pure come singolari sono le risorse che il soggetto può attivare per farvi fronte. Questa è stata la scommessa che il Centro Psicoanalitico di trattamento dei malesseri contemporanei – Onlus ha messo in atto quando ha aperto la porta sulla strada: non solo accogliere e trattare le difficoltà che ogni singolo soggetto porta, ma anche cercare di decifrare dal suo discorso, il legame sociale in cui si trova.
Il Centro Psicoanalitico tratta l’attuale stato di emergenza sociale connesso con gli arrivi di profughi dal lato dell’etica, consapevole che ciò che viene rigettato dal discorso in quanto scomodo e spiacevole non tarda a ripresentarsi sulla scena con tutta la sua portata di disagio e con una violenza che è proporzionale a quella messa in atto nell’espulsione. Il Centro Psicoanalitico ha sempre aperto la sua porta a chiunque si presentasse indipendentemente dal colore della pelle, dal paese di provenienza.
L’esperienza di tutti questi anni di accoglienza e di trattamento ci ha insegnato che un legame non dipende fondamentalmente dalla possibilità di comunicare, ma dal desiderio che lo sostiene. Perciò, perché ci sia incontro, l’essenziale non sarà comprendersi perché si parla la stessa lingua, o si appartiene alla stessa cultura. L’esperienza della psicoanalisi insegna che solo quando c’è incontro, l’individuo che ha rivolto una domanda all’Altro può trovare beneficio dall’operazione analitica. Se c’è incontro è possibile trattare l’equivoco, la difficoltà che viene espressa, non come un impedimento, bensì come una risorsa a partire dalla quale l’angoscia si può placare o addirittura un sapere inedito può consentire al soggetto di inventare nuovi modi di fare con gli ostacoli e le difficoltà.
Al Centro Psicoanalitico comunque, è possibile incontrare qualcuno che parla delle lingue straniere, quel minimo indispensabile per avviare un incontro.
Per il lavoro di accoglienza di ciascun soggetto, anche di coloro che provengono da altri paesi ed altre culture, i soci del Centro Psicoanalitico si fanno orientare dall’etica della psicoanalisi, a partire dalla quale si tratta di sostare nella differenza e di fare col conflitto che questa ingenera al posto di rigettarlo a priori erigendo un muro tra l’uno e l’altro. Ciò può condurre a constatare come, proprio nella differenza, dimora ciò che accomuna.

Carmen Cassutti

® NOTIZIE PER TE – Farmauniti