Crescita e sviluppo – parte 2
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Crescita e sviluppo
Purtroppo è nell’età adulta che ci si può ritrovare a raccogliere i cocci di conflitti intensi che, in un tempo lontano, hanno lasciato nell’intimo profonde cicatrici.
“Le grandi imprese della storia
La mia autobiografia
sono sempre state la conquista
di ciò che sembrava impossibile”
di Charles Chaplin
Il caso di Z.
Ricordo anni fa l’incredulità di una donna, Z, mamma di un ragazzo di 14 anni, che al principio del colloquio mi disse di non riuscire proprio a capacitarsi. «È come se, improvvisamente, mio figlio avesse smesso di crescere!». In realtà non ebbi modo di conoscere il figlio, D, in quanto nello spazio delle prime sedute emerse il fatto che l’arresto nello sviluppo percepito dalla mamma fosse la spia di un passaggio che lei non era riuscita a fare.
E dopo un percorso di pochi mesi, durante l’ultimo incontro mi disse: «Solo prendendomi questo spazio per me mi è stato possibile vedere quanto il mio modo di rivolgermi a D sia stato un ostacolo per lui». Il passaggio fu attraversato quando Z comprese di poter lasciare il figlio più libero di esprimere il suo naturale bisogno di vedere dei coetanei, di trascorrere del tempo ad ascoltare la musica o anche a perdere del tempo, come a quell’età più che ad altre ci è permesso di fare.
In quel caso l’isolamento percepito da quella mamma non era ascrivibile al disagio che si associa ad un complesso fenomeno il cui nome è “hikikomori” diffuso prevalentemente in Giappone, seppur riscontrato, con numeri inferiori e sfaccettature differenti, anche in Italia. Qui la realtà da fronteggiare è quella di una tendenza correlata all’intrecciarsi di molteplici variabili dove il ritiro dalla vita sociale di giovani, perlopiù maschi, in un età che va all’incirca dai 14 ai 30 anni, progredisce con l’interruzione di ogni contatto diretto con l’esterno.
E nell’impossibilità di percorrere il cammino della crescita lungo la via principale questi giovani si rivolgono all’immaginario, lasciando «il corpo in una stanza» (“Il corpo in una stanza. Adolescenti ritirati che vivono di computer” è anche il titolo di un saggio sull’argomento a cura di R. Spiniello, A. Piotti, D. Comazzi edito da Franco Angeli). Peraltro è attiva in Italia da qualche anno un’associazione (http://www.hikikomoriitalia.it/) che sensibilizza sul tema e promuove iniziative di rete. In queste situazioni il lavoro di supporto alle famiglie guarda all’attivazione di percorsi di accompagnamento al rientro nel sociale, prevedendo di coinvolgere l’intero sistema familiare.
“Conoscersi significa
Le basi materiali della significazione
modificarsi e modificare”
di Giorgio Prodi
Non sempre però le famiglie accettano di coinvolgersi, o meglio, quando i rapporti tra adulti si incrinano e i bambini si trovano a subire loro malgrado esperienze di manipolazione emotiva, occorre trovare altre vie per aprire un varco nel dolore che in certi casi non tutti sono capaci di accogliere per ripartire. Lo psichiatra Richard Gardner nel 1998 scrisse di un disturbo definito Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS – Parental Alienation Syndrome) la cui insorgenza si manifesta quando, dopo un divorzio, un genitore istiga il figlio con la manipolazione contro l’altro genitore (A. J.L. Baker, Figli divisi, Giunti, Firenze, 2010).
Il caso di S.
Al di là dei costi emotivi che situazioni di forte ostilità tra genitori comportano nell’immediato, purtroppo è raggiunta l’età adulta che ci si può ritrovare a raccogliere i cocci di conflitti intensi che, in un tempo lontano, hanno lasciato nell’intimo profonde cicatrici. Ricordo una chiamata ricevuta diversi anni fa. Rimasi colpita dall’alone di mistero nel quale questa giovane donna si avvolse nel presentarsi a me.
La richiesta d’aiuto partiva da una forte inquietudine dalla quale S era stata colta durante una lezione di yoga. La sensazione di non essere voluta, l’incombere della minaccia di abbandono, l’insicurezza e una bassa autostima furono espresse qualche tempo dopo. Per attraversare i banchi di nebbia che l’avevano accompagnata in studio si appoggiò alla sorella maggiore, D, che viveva da una decina d’anni in un’altra città.
Quando si erano viste l’ultima volta D riuscì a esprimere quanto, durante il suo percorso psicoterapeutico ormai concluso, fosse stato importante riconoscere alcuni momenti difficili della sua infanzia. È stata un’infanzia a tratti condivisa, eppure ognuno di noi fotografa momenti unici che, anche a distanza di anni, possono riflettere dettagli e vissuti differenti, così come unico e differente è il baule delle risorse che una volta dischiuso può aprirci alla determinazione di scoprire la nostra libertà.
Gladys Pace
Psicologa-psicoterapeuta, specialista in Psicologia clinica
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