L’attacco di panico – parte 2

Salute Mentale attacco di panico

Un appello disperato all’altro: l’attacco di panico!

“Improvvisamente non capivo più niente! Il cuore batteva all’impazzata e non sapevo cosa fare! Un senso di vuoto si è impadronito di me! Non riuscivo più ad uscire di casa se non accompagnato! Avevo perso ogni controllo e mi sentivo morire!”

Il sintomo

Da disturbo da eliminare il sintomo, accolto sulla via di una parola non padronale, può diventare messaggero di un significato e di una verità che concerne il soggetto nella sua differenza da tutti gli altri; da fenomeno universale, l’attacco di panico arriva a declinarsi in maniera particolare caso per caso, sia per ciò che riguarda le contingenze del suo scatenamento, che per la funzione che questo può arrivare a svolgere nella vita di ciascuno. Sì perché il sintomo non riguarda solo la propria persona ma coinvolge anche la relazione con altri: famigliari, amici, insegnanti… Attorno al sintomo ciascuno organizza le proprie difese, abitudini, relazioni.

Ad esempio l’attacco di panico e il timore che possa ripresentarsi può ingenerare la comparsa di comportamenti ritualizzati, di fobie o la necessità di avere sempre la presenza di un altro accanto a sé, che funzioni alla stregua di una stampella, in assenza della quale la persona teme di cadere nuovamente. Per quanto un sintomo possa produrre sofferenza, rinunciare alla propria malattia è tutt’altro che facile, proprio perché attorno al sintomo il soggetto trova un suo posto particolare nei legami che intrattiene.

Nei bambini

Questo “tornaconto secondario” della malattia lo si nota in maniera esemplare nei bambini ma di fatto permane anche negli adulti. La mamma di Paola, una bimba di 8 anni i cui genitori si sono da poco separati, ha colto bene questa questione quando, scherzando, afferma: “Mia figlia deve essere allergica alla madre poiché quando è a casa mia e più in generale con me, le vengono improvvise crisi d’asma mentre se è col padre sta benissimo”. Che un malessere sia di natura organica o psichica, pur nella differenza di trattamento che occorre mettere in atto, è innegabile che la qualità dei legami incide sul modo in cui soggettivamente si può affrontare il malessere.

La società

Analogamente, le forme e il modo di manifestarsi del malessere cambiano a seconda della società, ogni sintomo è figlio del proprio tempo. Tale osservazione è importante anche per ciò che riguarda gli attacchi di panico. Infatti già Freud in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, osservava come il fenomeno del panico si generasse quando all’interno di una massa o di un gruppo, veniva meno la funzione del capo, dell’autorità, col conseguente allentamento del legame affettivo tra i componenti del gruppo.

L’indebolimento della funzione di autorità è certamente un tratto che caratterizza la nostra società dell’iper consumo e può favorire la tendenza ad un certo individualismo dove il legame di parola tra l’uno e l’altro viene meno. In questa prospettiva l’attacco di panico può veramente essere considerato una rappresentazione del disagio proprio al nostro tempo, là dove il soggetto si trova in caduta libera, una volta cadute le illusioni legate al consumo spasmodico di oggetti tra i quali il proprio corpo. Società dai tratti marcatamente narcisistici che offre al soggetto l’illusione di potere avere una completa padronanza di sé e dell’altro.

Di fatto constatiamo come il soggetto contemporaneo, caduta l’illusione di padronanza, sia vieppiù attraversato da vissuti di insicurezza, depressione e precarietà. Non è un caso allora che l’attacco di panico sovente si manifesta quando la persona si trova confrontata ad un cambiamento importante nella propria vita: il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta, la nascita di un figlio, la conclusione di un percorso di studi, il passaggio alla pensione, il confronto con la sessualità, l’avvio o la conclusione di un legame amoroso e così via.

In questa prospettiva l’attacco di panico può essere letto sia come risposta al venire meno degli appigli simbolici e relazionali a cui il soggetto si ancorava, ma anche come un tentativo di disperato di fare appello all’Altro, appello che non passa attraverso la parola, bensì attraverso l’urlo del corpo. Al Centro Psicoanalitico si riparte da quell’urlo affinchè possa, coi suoi tempi, trasformarsi in segno, in messaggio, in parola.

Sergio Caretto

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